La memoria e l’architettura moderna
A seguito della fondazione e ramificazione delle prime Soprintendenze, avvenuta dopo l’Unità d’Italia, esiste nel nostro Paese un immenso corpus di normative che fissa ciò che merita di essere assoggettato a tutela e quindi annoverato tra quei beni culturali e del paesaggio per i quali sia stata definita una soglia d’attenzione, e ciò che non lo merita. Questo metodo, che dovrebbe garantire la qualità degli interventi che si affacciano sul suolo pubblico e non, oggi ereditato anche dalle Commissioni per il Paesaggio, stabilisce inesorabilmente un divario e quindi una disparità di trattamento tra singoli edifici e parti di città.
La velocità con cui si producono e ci si appropria di oggetti elettronici, è proporzionale a quella con cui gli stessi si accumulano nelle discariche. Alla stessa maniera, anche la città dimentica alcuni edifici negli interstizi catastali, mentre ne glorifica altri, è fisiologico.
La città di Milano, anche a seguito degli sviluppi territoriali degli ultimi anni ha modificato integralmente, nel bene e nel male, il suo appeal e la morfologia di quegli spazi pubblici, marcati dalla stessa presenza estetizzante degli edifici icona che lì vi si riflettono. Nello stesso tempo, per mancanza di attenzione e di strategia, sono stati trascurati e abbandonati al loro destino alcuni edifici che, tra gli altri, appartengono a uno specifico periodo storico del novecento, il Movimento Moderno (le cui architetture risultano, peraltro, inesistenti o quasi nell’intera nostra penisola, dove solo alcuni architetti avevano accolto le ansie dei traumatici movimenti europei).
Da alcuni anni, sulla copertura di uno degli edifici che circoscrive Piazzale Lagosta, campeggia un cartellone pubblicitario. Non ricordo più quando è stato installato ma oggi è parte integrante dell’edificio e della memoria collettiva dei cittadini, che velocemente e subliminalmente si adattano ai veloci cambiamenti del territorio che attraversano. L’edificio in questione è la Casa Ghiringhelli di Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri (1920-1937) e come altre, edificate in quel periodo a firma degli stessi autori (Casa Toninello in via Perasto e Casa Comolli-Rustici in via Pepe) rischiano, anche a causa di abusivismo, condonismo ed evidente trasandatezza manutentiva, di essere dimenticate o accerchiate da interventi circostanti non curanti della loro stimolante presenza.
Certo, stiamo parlando di architetture non più confacenti al marketing territoriale, e che immancabilmente evocano momenti ereditati da epoche storiche non certo entusiasmanti per il nostro Paese, o sulle quali non necessariamente vige, o vigeva, un vincolo monumentale. Basti registrare l’incomprensione dei loro contenuti, da parte dell’opinione pubblica in generale, e scorrere la lista dei casi specifici di incuria o abbandono che arrivano a tempi a noi assai più prossimi, come per lo scempio consumato sulla Casa Tognella (Casa al Parco) di Ignazio Gardella, o per l’Istituto Superiore Marchiondi-Spagliardi di Vittoriano Viganò, ormai considerato un’antica rovina, utile solo a studi accademici.
Cosa sia da considerare patrimonio monumentale e culturale, o meno e se sia l’unica modalità di prendersi cura di un edificio o di un luogo collettivo, è un problema eccezionalmente vasto e complesso, anche se coniugato a un tema apparentemente ristretto come quello dell’architettura Moderna milanese. Rimane il fatto che, da un lato, la non curanza con cui vengono abbandonati a se stessi determinati edifici è particolarmente esemplare e sottolinea una continuità di miopia degli Enti preposti che si succedono, rispetto alla consapevolezza di quanto accade; dall’altro, la mancanza di proposte significative originate dall’ambito privato, tali da essere ritenute innovative, rischiano di definire un abbassamento generale del tono della città, definendo delle aree-discarica che rispecchiano lo stesso disinteresse per lo spazio pubblico. Vorrei ricordare che, parafrasando l’ancora attuale Manuel de Sola-Morales, “la ricchezza civile e architettonica, urbanistica e morfologica di una città è quella dei suoi spazi collettivi, quella di tutti i luoghi in cui la vita quotidiana si svolge, si rappresenta e si ricorda”.
NICOLA ROVERE